Io sono Orlando.

 

Non ci sono parole per descrivere le emozioni che sto provando da un paio di giorni, da quando ho sentito la notizia della strage ad Orlando. All’inizio non mi sono resa conto della gravità dei fatti, ero sovrappensiero e stavo ascoltando la musica. Più il tempo passava, però, più le notizie iniziavano ad accavallarsi una sull’altra attraverso i social, rivelando una realtà mostruosa ed inumana. Di fronte a questo crimine dell’odio, perché di questo si tratta, mi sento impotente e svuotata. La mia mente continua ad immaginare la scena, come se fossi anch’io una delle vittime. Io, che decido di uscire con le mie amiche ed entro in quel bar; io, che ordino un mojito perché è estate e non esco da tanto tempo, voglio rilassarmi e divertirmi; io, che all’improvviso sento dei rumori inequivocabili, finora sentiti solamente attraverso i telegiornali, le persone urlano e ci metto qualche secondo a capire; io, che scappo e mi chiudo in bagno; io, che non ne uscirò mai più. Orlando è la città che ospita Disneyland, è la città abituata alle risate e alla magia, la città che spinge le persone a sognare e ti racconta belle favole che finiscono con il classico e rassicurante “e vissero per sempre felici e contenti”. Nessuno vivrà felice e contento, ad Orlando, almeno per ora. Sul web leggo frasi di solidarietà, altre di odio. Quelle di odio mi fanno rabbrividire, mi gelano il sangue nel le vene, mi fanno desiderare di sparire. “Se lo sono meritato”, “finalmente un po’ di giustizia”, “ci vorrebbe un Mateen anche in Italia”. Nella strage di Orlando sono morte cinquanta persone, cinquanta persone che avevano dei sogni, dei progetti, una vita lunga e felice davanti a loro. Come si possono anteporre i propri ideali omofobi davanti ad una tragedia di tale orrore e crudeltà?  Fortunatamente sui social leggo anche tante frasi di solidarietà e pace, tra tutte mi scolpisce una frase in particolare: “erano gay ma prima di tutto erano persone”. È vero, quelle cinquanta vittime erano prima di tutto persone. Ma non dimentichiamoci, per favore, che erano persone facenti parte della comunità Lgbtq+. Bandiera-arcobalenoQuelle cinquanta vittime state uccise perché erano gay, non perché erano persone. Se fossero stati eterosessuali nessuno avrebbe aperto il fuoco su di loro, nessuno li avrebbe braccati fin dentro i bagni del locale per assicurarsi che morissero. Quelle cinquanta persone sono state uccise perché facevano parte della comunità Lgbtq+, sono state ammazzate perché avevano il coraggio di essere loro stesse, la forza di non aver paura di mostrarsi per ciò che erano. Cinquanta persone sono state uccise perché secondo un maledetto uomo inutile e rancoroso non meritavano di esistere. Leggo messaggi di cordoglio da persone che fino a ieri gridavano alla rivoluzione antropologica, definendo gli omosessuali, i transessuali, le queer e tutta la comunità Lgbtq+ “peccatori”, “abomini”, “la decadenza dell’umanità”. Quei messaggi mi feriscono persino più di quelli carichi d’odio, scatenando in me un’indignazione profonda. Quegli uomini e quelle donne che fanno le condoglianze alle famiglie delle vittime ma, in fondo, pensano che quelle cinquanta persone se lo siano meritato, forse non hanno sparato in quel locale ma è come se l’avessero fatto. Quando sopprimete, insultate e vi prendete gioco di milioni di persone innocenti in tutta Italia e in tutto il mondo, non siete diversi da quel mostro che ha fatto fuoco in quel gay bar di Orlando. Magari non togliete la vita in senso letterale agli omosessuali, ma combattete affinché essi non abbiamo diritti, non abbiano una voce, se poteste neghereste persino la loro esistenza. Ieri, mentre scorrevo la home di Twitter, ho letto un messaggio che mi ha tirato un pugno dritto nello stomaco, costringendomi a riflettere. Il messaggio era questo:

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Post pubblicato su Twitter da jordie, @remvrdered

“Avrei potuto essere io”.

Queste parole risuonano con violenza nella mia testa, risvegliando in me un’angoscia primordiale che avverto ogni volta che accade una tragedia in cui, almeno in parte, riesco ad immedesimarmi.La strage di Orlando è stata un crimine dell’odio che ha riguardato la comunità gay, è vero. Ma poteva accadere in una sinagoga perché un uomo contro gli ebrei decideva di spare, in un tribunale perché un uomo contro il divorzio decideva di uccidere, da un parrucchiere pieno di donne perché un uomo contro l’uguaglianza dei sessi decideva di ammazzare. Smetteremo mai di combatterci e ucciderci solo perché siamo diversi? Smetteremo mai di negare l’uguaglianza e i diritti imprescindibili solo perché noi non condividiamo un certo stile di vita? Non esistono al mondo due persone uguali, arriveremo dunque a sterminare l’umanità intera?

ddfcc948b78e4d5f667a8477549f7019-0007-kW1D--1170x507@IlSole24Ore-WebQuelle cinquanta persone si alzavano dal letto ogni mattina per andare a lavorare o a studiare, si lavavano i denti e facevano colazione, chiacchierano con gli amici riguardo la vita, si lamentavano per il troppo caldo o il troppo freddo, aggiornavano la loro bacheca su Facebook e preparavano la cena per la famiglia la sera: erano in tutto identici a noi. L’unica piccola, insignificante differenza era che volevano andare all’altare con una persona del loro stesso stesso, l’unica loro colpa era di amare una persona che la società ritiene sbagliata. Sinceramente, questa minuscola differenza le rendeva davvero persone che meritavano di essere uccise senza pietà in un bar?


2 risposte a "Io sono Orlando."

  1. Ciao, Elena. Ti faccio i miei complimenti per questo articolo davvero toccante, ma soprattutto per la tua bravura nell’averlo scritto “a caldo”, poco dopo l’accaduto (io non ci sono riuscito).
    Adesso non ci rimane che stringerci e armarci di Amore, l’unica cosa per cui vale la pena continuare a vivere..anche nel rispetto dei nostri fratelli gay e delle nostre sorelle lesbiche.

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    1. Ti ringrazio moltissimo per i complimenti, in realtà non sono riuscita a scrivere qualcosa subito dopo il fatto perché stavo troppo male. Poi però rimanendo in silenzio mi sembrava di fare un torto alla vittime e non potevo permetterlo. Un abbraccio forte

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